Vecchia storia del nostro GDR

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    Mother of Dragons

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    Admir TJ viveva una vita tranquilla.
    Anzi, sinceramente il giovane non aveva mai pensato che la sua vita potesse essere diversa, l'unica cosa di cui sentiva veramente la mancanza era suo padre Hamar, partito per un viaggio appena un mese prima che lui nascesse. Non era ancora tornato.

    Eppure nonostante fosse privato della figura paterna Admir aveva una madre davvero amorevole e sempre al suo fianco.
    La piccola Yanet, di bassa statura e cicciotella aveva lunghi capelli rossi che le ricadevano lungo le spalle e non mancava mai di rivolgergli un sorriso di conforto con i suoi grandi occhi di un dolce marrone cioccolata.
    Yanet era una donna forte e sicura di se, quando Admir sbagliava gli mostrava il suo sbaglio mostrandogli le conseguenze del suo errore: lasciava il pollaio aperto? Niente cena perchè le galline erano scappate e da mangiare anche volendo ce ne era poco.
    Il loro mondo, Kamylt, stava attraversando un periodo buio: le foreste venivano abbattute per fare spazio alle città e sempre più navi solcavano il mare in lotta per il poco pesce che si riusciva a prendere in un mare sempre più saccheggiato.
    Ovunque nel regno di Kamylt gli uomini crescevano imparando a diffidare del prossimo, in un crescente circolo di diffidenza e astio. Le città continuavano a crescere, ognuna governata da un Rappresentate che faceva riferimento alla capitale, la grande città marittima di Towl, governata da un re, famoso per la sua crudeltà.
    Un re che pochi vedevano e che per primo incitava la gente a restare sul chi vive, a non fidarsi del prossimo, oltre ad imporre tasse veramente troppo immotivate per le condizioni di pace in quel momento.
    In realtà il re usava le somme raccolte per avanzare con la deforestazione sempre più intensiva della Foresta Occidentale per la creazione costante di nuove città, diceva.
    Il vero motivo era che voleva invadere un territorio di cui si arrogava il diritto.
    Uretor lo chiamavano, ma si sospettava che non fosse il suo vero nome.

    Admir non aveva molti amici, anzi, la sua unica compagnia era il suo grosso cane nero, Larry, che lo seguiva ovunque. L'animale di grossa taglia sembrava condividere l'energia del ragazzo e spesso facevano la lotta ed avevano un certo gusto per l'avventura, cosa pericolosa di quei tempi. Spesso si cacciarono nei guai, ma cosa c'è di più inebriante del sentire la sensazione di star facendo qualcosa di proibito e pericoloso?
    Uscivano spesso oltre le mura del loro piccolo villaggio ( i villaggi minori rispondevano alla città con il Rappresentate più vicina, nel suo caso Kahillot, e avevano una relativa libertà rispetto ai borghi maggiori, dove veniva contato persino il numero di persone che entravano e uscivano quotidianamente).
    -Credi che un giorno papà tornerà a casa?- chiese una volta TJ.
    Yanet si volse con un sorriso mesto. Non si era mai lamentata per l'assenza del marito e dopo quei lunghi anni ancora lo amava e credeva che sarebbe tornato... ma ormai il suo cuore era roso dal dubbio e dal timore di innumerevoli notti insonni.
    -Non lo so... quando è partito mi ha detto che sarebbe stato un viaggio molto lungo e pericoloso... so che se tornerà avrà per te sorprese che tu non puoi neanche immaginare...- concluse, cercando di far nascere la speranza in lei oltre che al figlio.
    -Cosa vuol dire?- ribattè il bambino. All'epoca aveva solo 7 anni e già si immaginava furiose battaglie... ma sua madre era sarta e non poteva aiutarlo a diventare un eroe.
    -Lo scoprirai a suo tempo caro... la vita ci riserva le sorprese quando meno ce lo aspettiamo.-
    Yanet aveva ragione.

    Il sole sorse di una luce diversa il giorno in cui videro una figura familiare, possente e con la barba incolta avanzare a lunghe falcate verso la loro casa: Hamar tornò quando suo figlio era vicino al suo decimo anno di vita.
    Ormai però il giovane covava un certo risentimento per quello sconosciuto che avrebbe dovuto chiamare padre. La sua testa dagli scompigliati capelli rossi aveva custodito speranze e aspettative per anni, ma il tempo aveva avuto la capacità di trasformale in risentimento. Vedere l'uomo di cui conosceva solo il colore degli occhi, uguali a suoi a detta di Yanet, era stato un sogno che si era spento lentamente... Non si aspettava più nulla, nemmeno le avventure che la madre da piccolo gli aveva promesso.
    Come se condividesse la sua amarezza anche Larry si teneva lontano dal nuovo padrone, abbaiando se questi provava ad accarezzarlo.
    Ci volle quasi un mese per imparare a fidarsi di quell'uomo dagli occhi colore del ghiaccio e un sorriso tanto misterioso sempre stampato sul volto.
    -Capisco che tu faccia fatica a riconoscermi- gli disse al suo ritorno - ma io in realtà un po' ti conosco già... anche il fatto che io avrei reagito al tuo stesso modo ne è una prova.- concluse con uno dei suoi sorrisi alludenti.
    -Cosa vuoi conoscere di me? Non ti ho mai visto... perchè hai abbandonato me e la mamma così a lungo? Il lavoro di sarta non rende così bene,è stato tutto più difficile... chi sei tu?
    L'uomo scosse la testa, ma accetto i rimproveri a testa china.
    -Imparerai ben presto che la vita è sempre difficile...Spero che non lo sia conoscermi però, perchè sono un uomo diverso da molti, ma se imparerai a capirmi non ti deluderò. Ho sbagliato a non essere stato vicino a voi per lungo tempo, ma io per primo me ne rammarico. Admir, ho molto da raccontarti e mostrarti, dammi una possibilità.-
    La voce piena di rammarico sincero colpì il ragazzino, che per la prima volta in vita sua fece una scelta.

    Fin dalla prima settimana dal suo ritorno Hamar aveva condotto suo figlio alle propaggini della foresta orientale, foresta quasi totalmente evitata dai mercanti perchè cresceva all'ombra del Confine.
    Il Confine era la catena montuosa del Verrot, una lunghissima successione di montagne aspre e poco ospitali che torreggiavano a un giorno a cavallo dal loro villaggio.
    Eppure Hamar non sembrava aver paura di avvicinarsi a quel limite che la legge stessa proibiva di attraversare e, pur restando nel primo miglio di foresta, Admir si rese conto del perchè quella zona fosse tanto evitata: alberi secolari si intervallavano a enormi roccie coperte di ogni genere di fiore e muschio sconosciuto, radici spesse e dure affioravano irregolari dal terreno e la fitta chioma degli alberi rendeva il sottobosco un luogo surreale che appariva di una selvaggia bellezza quanto di un mortale pericolo.
    Admir spesso si fermava a contemplare ciò che aveva davanti: la foresta si perdeva a perdita d'occhio davanti a lui, innaturalmente silenziosa, come se anche gli animali temessero proferir suono. La volta color smeraldo diffondeva una luce verde soffusa, lasciando solo ogni tanto che qualche lama di luce passasse tra le foglie per creare stupende cascate dorate fino a terra. Davanti a chi osava penetrare in questo luogo si levavano tronchi di maestosa grandezza, dritti e coperti da una corteccia scura rivestita di resina dorata. Il profumo del muschio che cresceva come un tappeto naturale sotto di loro era inebriante e così i fiori coloratissimi che spuntavano su grandi macigni, rotolati giù in ere dimenticate da chissà quale frana.
    -Il terreno è così fertile- spiegò Hamar al loro primo viaggio -perchè non siamo lontani da tre vulcani che hanno eruttato poco più di 500 anni fa. Il terreno è stato reso feecondo dalla loro cenere e i macigni che vedi sono un chiaro esempio della potenza dell'esplosione, sono giunti fin qui da molte leghe.-
    Sotto la volta verde Admir imparò, sebbene non ne comprendesse l'importanza, l'arte del combattimento con il pugnale e l'arco. Al suo villaggio l'occupazione di maggior rilievo era il venditore di pelli, per la numerosa selvaggina che popolava la regione. Fare il cacciatore però poteva essere altrettanto fruttuoso e Admir si convinse di stare allenandosi per questo.
    Eppure le sue valutazioni dovettero essere rimesse in gioco quando suo padre a 15 anni cominciò a insegnargli a tirare anche di spada. Non sarebbe andato dietro ai cinghiali chiedendo loro di duellare.
    Quando suo padre gli presentò l'arma per la prima volta Admir restò alquanto perplesso
    -Perchè sto imparando a combattere? Sei un maestro formidabile padre, ma non capisco perchè dovrei trovarmi ad affrontare altri esseri umani con queste armi. Mi hai insegnato come curare la carne di un'animale dopo averlo ucciso, a che mi serve dunque sapere anche come ribattere a dei colpi di spada? Non intendo fare il soldato e...
    -Stolto!Credi che io sappia combattere perchè sono stato nell'esercito? Nella vita saper usare al spada è una cosa che non si può non saper fare, non si sa mai cosa ci riserva il destino. Non vuoi fare il soldato? Perfetto, anche perchè mi avrebbe davvero deluso un figlio al servizio del nostro re... ma non serve militare nelle sue file per aver bisogno di impugnare la spada: ricorda che le armi vanno brandite per difendere, non per ferire e questo ti insegnerò.
    Cosa avresti fatto se un giorno avessero minacciato tua madre e io non ci fossi stato? Non è solo la tua vita che in futuro sarai tenuto a difendere.-
    Ma Admir, che non aveva mai ottenuto risposte sul comportamento del padre, nè tanto meno sul dove il suo genitore avesse vissuto durante la sua assenza, non trattenne una testarda opposizione a quelle parole.
    -Ma quale futuro vuoi che abbia? Vivo in un villaggio tanto sperduto che a volte non passano nemmeno i soldati a riscuotere il dazio, non ho davanti una vita piena di avventure come vuoi farmi credere... Ho smesso di credere alle favole padre.-
    Hamar scosse la testa passandosi una mano tra i capelli sudati dopo l'ultimo allenamento.
    Era ora di dirglielo.
    -E' colpa mia in effetti, non ti ho detto il vero motivo per cui ti stai allenando, perdonami.- Fece una pausa, lisciandosi la lunga barba nel tentativo di trovare le parole e per la prima volta Tj lo vide in difficoltà.
    -ho assicurarmi che davvero saresti in grado di fare ciò che spero. Quindi ora smettila di piangerti addosso, siediti e ascoltami.-
    Admir gettò a terra la spada frustato, ogni volta che suo padre sviava il discorso si andava a finire in dialoghi senza apparentemente alcun senso. In quei 5 anni che era tornato, Admir aveva avuto la spiacevole sensazione che suo padre avesse già organizzato la sua vita, ma lui non aveva intenzione di farsi controllare così anche se aveva imparato ad amare quell'uomo: si era mostrato veramente degno di appartenere alla sua famiglia.
    -Sono stato via dieci anni Admir. Dieci lunghi anni nei quali nessuno sapeva, nemmeno tua madre, dove io fossi di preciso. Ebbene sono andato nelle Regioni Orientali.
    Admir spalancò gli occhi e inarcò un sopracciglio. Doveva essere uno scherzo. Andare in quei posti equivaleva a morte certa: spazi selvaggi e inospitali, terreni brulli e aridi e nessuna traccia di vita... la Capitale aveva emanato il divieto di oltrepassare il grande monte che li separava dalle terre Orientali (monte che in quel momento incombeva sopra le loro teste), proprio per salvaguardare gli abitanti da morte sicura.
    Ma quando espresse i propri dubbi Admir si trovò suo padre che gli rideva in faccia.
    -Quante balle che ti hanno raccontato figlio mio! Tua madre non ti ha mai messo in guardia riguardo la capitale? Non devi credere a niente di ciò che dice in giro il nostro... usurpatore.- Ora la sua voce era di nuovo seria. Qualcosa nei suoi occhi suggerì a Admir che il discorso che stavano tenendo avrebbe potuto tranquillamente ucciderli se fosse giunto ad orecchie indiscrete.
    -Perchè definisci Uretor un usurpatore? Potrà anche essere un tiranno vista la scarsa importanza che dà ai suoi sudditi, ma è figlio del re che l'ha preceduto e così via.-
    -Da quanto tempo credi che gli uomini come noi calpestino questa terra figliolo?
    Admir rimase perplesso a quella domanda. Non se l'era mai chiesto in effetti, gli uomini non erano lì da sempre?
    Vedendo la sua difficoltà Hamar non indugiò oltre -Gli uomini si sono insediati in questa terra che tanto dichiarano propria non più di 1000 anni fa. Siamo giunti qui che eravamo poco più che barbari giunti dal mare attraverso una tempesta e da allora ci siamo insediati. Ma questa terra era già abitata-
    Admir sentì il cuore battere più forte a quelle rivelazioni, sentiva che ciò che il padre diceva era vero.
    -Chi abitava allora questa terra?-
    -Creature di una potenza pari solo alla loro intelligenza. Bestie enormi che popolavano il mare, il cielo, la terra e i vulcani in egual modo. Accanto a loro anche altri magici esseri come fate minori e folletti curavano questo luogo e i nemici più temuti erano le chimere, bestie di inaudita ferocia e prive della capacità di riflettere. Ippogrifi e grifoni volavano nei cieli, ma tutti stavano alla larga dai padroni dai veri padroni di Kamylt: i draghi.
    -Draghi? Mi vuoi forse raccontare le storie che sentivo da bambino? I draghi si sono estinti molto tempo fa. E con essi probabilmente tutte le creature che hai...
    -Aspetta, impaziente TJ.- lo rimproverò il padre - Io le ho viste tutte queste creature. Alcune si sono estinte come hai detto tu, ma molte ancora sopravvivono. Fate minori e Chimere sono state cacciate a lungo dai nostri antenati e ormai solo i draghi possono vantare un numero rilevante a Kamlyt.
    -I draghi non esistono.-
    -I draghi - ringhiò Hamar spazientito - sono i veri padroni di questa terra e per questo Uretor è un impostore! Io mi sono impossessato di una antichissima mappa per raggiungere i loro nidi, quando ancora creature magiche e umane vivevano insieme. I draghi aiutarono gli uomini ad evolvere la loro mente, ma a che pro? Per venire cacciati e isolati gradualmente nella parte orientale di Kamlyt. Gli uomini erano numericamente superiori e sebbene un solo drago potesse ucciderne parecchi se fatto arrabbiare è anche vero che i draghi stavano diventando sempre meno prolifici. Le nascite diminuirono così vertiginosamente che i draghi furono costretti a una disonorevole ritirata che cercarono di dimenticare. Gli uomini pensarono di averli battuti e sigillarono l'unico passo tra le montagne in grado di seguirli: il passo di Lout, che si raggiunge attraverso questa stessa foresta.
    Da allora è proibito avvicinarsi alla foresta come stiamo facendo noi, ma nulla valgono le menzogne del re, che definisce (come i suoi predecessori) le terre orientali prive di vita e colme di pericoli. In realtài draghi , se venissero a conoscenza che tanti umani stanno appropriandosi della loro terra, preferirebbero morire tutti nel tentativo di fermare tale avanzata, che distrugge il loro mondo e ne imprigiona la libertà.
    -Sono andato da loro- Admir lo fissò ancora più intensamente -e ho cercato di trattare.-
    -Se ci sono riuscito è solo perchè l'inizio del mio viaggio si è rivelato propizio: Il re vieta ai comuni cittadini di addentrarsi nella foresta, ma manda i suoi più fidati guerrieri ad uccidere i draghi vicini al confine, in modo da mantenerli lontani e da... esercitarsi- disse Hamar pronunciando la parola con disgusto.
    -Ho salvato uno di questi draghi da una così misera fine e questi mi ha condotto per la loro vasta terra, per conoscere bene ogni specie prima di parlare alla loro Madre.
    -Madre? Un capo dei draghi? E tu sei riuscito a parlarci?-
    -Solo al mio nono anno di viaggio sono riuscito a incontrare la Madre. Non posso rivelarti il suo nome, è un grande onore per i draghi e devono dirtelo di persona, sapere un nome senza il permesso del proprietario attirerebbe su di te le sue ire.
    Ho chiesto alla Madre di aspettare pazientemente ancora per poco tempo rispetto a quello che aveva fatto fin ora. Avrei trovato un modo per spodestare il tiranno, ma serviva il loro aiuto: mandare più draghi del normale sul confine o appena oltre, per costringere il re a inviare soldati ad ucciderli e preservare il suo inganno agli abitanti di Kamlyt. In questo modo il re sarebbe stato abbastanza scoperto da cercare di fargli un'imboscata.-
    Admir fissò il padre mentre parlava con naturalezza di uccisioni e imboscate, ma pian piano si rese conto che non c'erano alternative.
    Il cuore gli batteva forte sotto la giacca di pelle di daino. Stava per prendere parte alla più grande avventura della sua vita.

    Il momento propizio venne, e poco dopo che ebbe compiuto 20 anni Admir ricevette in regalo un prezioso pugnale in osso di drago che non avrebbe mai perso il filo e una guaina in pelle dello stesso animale, materiale tanto duro da resistere quasi a tutto.
    La mattina si alzarono presto, il cuore pieno di adrenalina nonostante la notte passata svegli a pensare all'indomani.
    -Promettimi una cosa- disse Hamar bloccando sulla porta della stanza il figlio già pronto a salutare la madre che in quel momento doveva essere in cucina per aspettarli.
    -Qualsiasi cosa mi succeda devi proseguire con il nostro intento. Questa terra ha bisogno di noi. I draghi hanno bisogno di noi.-
    -Promesso padre- Aveva finalmente imparato a stimare e fidarsi ciecamente di Hamar che aveva fatto di lui un guerriero e un uomo, modellando la sua anima in modo che fosse più incline a valutare la proprie mosse.
    Scesero le scale dei due piani della loro piccola abitazione, ma un trambusto proveniente dalla cucina raggelò loro il sangue nelle vene.
    L'urlo della madre di Admir giunse alle loro orecchie con la freddezza di pugno.
    Corsero entrambi giù dalle scale senza pensare, il tempo che si dilatava in modo estremamente doloroso...
    Hamar giunse per prima, ansante, sul pianerottolo e vide i soldati con l'effige di un occhio rosso del re invadere la piccola cucina, calpestando il corpo privo di vita della povera Yanet.
    Le lacrime caddero copiose sul viso dell'uomo mentre questi lanciava un'occhiata significativa al figlio.
    -R-rispetta le mie parole figlio mio. Io e tua madre abbiamo sempre avuto un grande orgoglio per te.-
    E si lanciò nella sala piena di guardie, uccidendone una con pochi rapidi affondi della sua spada veloce e sottile. Admir costrinse i propri piedi a volgersi mentre il cuo cuore di riempiva di paura, odio, rabbia... si sentiva un codardo ad abbandonare così suo padre, non poteva permettere che il suo sacrificio fosse vano!
    Saltò dalla finestra della propria stanza, rotolò su un mucchio di paglia sottostante e saltò a cavallo del roano che tenevano nella piccola stalla dietro casa.
    Corse, attraverso la città che si stava svegliando ignara del suo dolore, corse cercando di andare così veloce da non sentire i propri singhiozzi portati via dal vento.
    In meno di tre giorni avrebbe raggiunto la montagna Ewadar, dove sorgeva la foresta orientale e dove avrebbe avuto inizio la sua disperata ricerca.
    Era in fuga dai soldati, era in fuga dalla propria paura. In realtà il suo cuore batteva forte come gli zoccoli del cavallo sulla terra che lasciavano dietro di se.
    Non aveva un piano e quando quella notte si fermò in un altro piccolo villaggio e lo fece solo per provare più vergogna di se: rubando.
    Costretto dalla situazione rubò quello che non aveva ma gli serviva: lui e suo padre si erano preparati a partire spartendosi le cose da portare, ma lui aveva solo la vecchia mappa dalla quale era iniziato tutto (Admir quasi voleva strapparla dalla rabbia) e un paio di coperte, oltre alle proprie armi: il prezioso pugnale nello stivale, una spada al fianco e un arco leggero sulla schiena.
    Quando ripartì il peso sulla propria conoscenza era aumentato. Promise a se stesso che un giorno avrebbe restituito quanto preso.

    L'alba sorse insensibile alle sue sofferenze al terzo giorno di viaggio, quando liberò l'animale che aveva preso per cominciare a seguire lo stretto sentiero che saliva lungo il fianco della possente Edawar. Una cieca determinazione aveva preso il suo cuore. Non si sarebbe fermato fino a quando compito, che ora sentiva come proprio, non sarebbe stato portato a termine.
     
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